Se non ora quando? Che fine farà il “business as usual”?

01 Apr 2020 - XR Italia
XR Magazine Società



Foto ricevuta da FFF Italy, operatori sanitari del Policlinico di Bari hanno approfittato di un istante di pausa per partecipare al#DigitalStrike.

Questo è un momento che sta cambiando il mondo. Man mano che il coronavirus si impadronisce delle nostre vite quotidiane, il modo in cui ci organizziamo e ci sosteniamo cambierà. Stiamo perdendo molto di ciò a cui teniamo. Il coronavirus ci ha mostrato quanto sia fragile il nostro sistema, ma anche quanto velocemente possiamo adattarci a una catastrofe. Questo è un momento in cui dobbiamo ricordare che ci ribelliamo per un mondo prospero e giusto di culture rigenerative che possono superare le crisi, promuovere la cooperazione e l’occuparsi uno dell’altro su scala globale. Non è certo il momento di rilanciare il “business as usual” e i progetti speculativi che sono alla radice della crisi che stiamo vivendo. Molti di noi sono isolati a casa, spaventati e confusi, ma non bisogna sentirsi impotenti. Cogliamo l’occasione per riflettere, ed unirci a un movimento in rapida crescita per prevenire la prossima crisi, e magari disinvestire i nostri soldi da progetti speculativi, fonti fossili e armamenti.

La pandemia di Covid19 non ha messo in pausa la nostra richiesta di giustizia climatica e sociale e protezione degli ecosistemi. Questo è un momento cruciale per l’intera umanità. Quando ci sono shock nella società, è noto che i governi - mossi da interessi e da lobby -usano le emergenze per fare cambiamenti tossici ed erodere la democrazia. Non possiamo permettere ai pochi privilegiati di usare questa pandemia come un’opportunità per continuare a inquinare ed incassare, insabbiare le cattive notizie, finanziare le industrie che sono determinanti nell’acuire la crisi climatica ed ecologica ed esasperare le disuguaglianze esistenti. C’è troppo in ballo. È tempo di essere audaci e mantenere una visione rigenerativa più grande del cambiamento, e di continuare a chiedere che, per immaginare delle soluzioni cruciali per il futuro delle popolazioni e dell’umanità, siano costituite delle assemblee cittadine che guidino le decisioni dei governi.

In questo momento, la gravità della pandemia non ci distoglie affatto dai nostri obiettivi, anzi ci è chiaro come la crisi ecologica sia strettamente legata anche al dramma che stiamo vivendo. Tutti i dati confermano che è proprio il nostro sistema globale di sfruttamento indiscriminato delle risorse a creare le condizioni che favoriscono il salto di specie di nuovi virus infettivi (in gergo tecnico spillover) e per la loro diffusione a livello globale. Ne abbiamo parlato su XR Magazine in questo articolo. Soffermiamoci sulla quarta delle considerazioni finali: non tutto è perduto! Perché se una sola settimana di relativa quiete è stata sufficiente per rendere l’aria respirabile, l’acqua di limpida, il cielo stellato visibile, significa che abbiamo speranza di sostenere il recupero della biosfera cambiando il nostro modello di sviluppo. Anzi, cambiando il significato della stessa parola “sviluppo”, passando a un sistema rigenerativo. Questo è il momento in cui apportare le modifiche necessarie e urgenti per rispondere alle crisi globali che si intersecano - finanziarie, sanitarie, climatiche ed ecologiche - creando un mondo in cui la vita può prosperare. Possiamo co-creare diverse culture rigenerative ovunque e attraverso ciò l’umanità potrebbe smettere di avere un impatto degenerativo e di sfruttamento sulla Terra e iniziare ad avere un impatto rigenerativo e curativo.

Pare che anche le grandi organizzazioni internazionali stiano iniziando a dare segnali in tale direzione: secondo Isabelle Durant, vice-segretaria generale della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD), lo shock causato dal Covid-19 non è e non rimarrà un caso isolato; sostiene che “dobbiamo riconoscere di dover mettere in discussione l’attuale modello di business; “Business as usual” non è più un’opzione praticabile; dobbiamo favorire un modello di business aperto più diversificato in termini di produzione e con catene del valore più corte, che devono consentire un migliore monitoraggio del rispetto degli standard sociali, sanitari e ambientali”. Significa ristabilire a tutti i livelli, dal nazionale al globale, un equilibrio complessivo tra commercio e giustizia sociale e climatica.

Anche la Harvard Business Review ha evidenziato come la pandemia di coronavirus abbia messo in luce la vulnerabilità delle catene globali di produzione e distribuzione, altamente dannose per l’ambiente e non sostenibili per le comunità locali in tempi di crisi.

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Ma dopo questa crisi, verrà rilanciato il “business as usual”?

Alcuni analisti, come Marìa Mendiluce, CEO del “We Mean Business Coalition, che lavora con le più influenti compagnie di investimento globali, ritengono che lentamente la crisi economica si trasformerà in uno stimolo a lungo termine per gli Stati mondiali, che si focalizzeranno sul ridare linfa vitale alle loro economie.

È responsabilità di tutti quella di sfruttare al meglio questo momento per costruire maggiore resilienza e fronteggiare la più grande minaccia alla nostra esistenza, ossia la crisi climatica ed il collasso degli ecosistemi. Sono evidenti i segnali con cui le lobby industriali premono per abbandonare il (già lacunoso) “Green New Deal” europeo e muoversi verso piani di investimento nazionale di stampo tradizionale. In Italia, infrastrutture e grandi opere a carico della spesa pubblica sono in cima all’agenda di Boccia, leader di Confindustria, mentre in Gran Bretagna si sta continuando, nonostante la pandemia, a costruire la HS2, una delle infrastrutture più dispendiose e distruttive per l’ambiente mai viste.

Di tutt’altro avviso la rete Euractiv, che riportando le parole di Mendiluce, sostiene che per stimolare l’economia “i governi debbano mettere la resilienza climatica al centro delle future strategie economiche, ed evitare così di ritrovarci nella stessa situazione quando la prossima epidemia o crisi globale ci colpirà”. Si tratta di imprimere una svolta decisiva verso un futuro in cui l’essere umano si impegni a ripristinare gli ecosistemi ovunque per ridurre drasticamente i tassi di estinzione delle specie, invertire le tendenze del riscaldamento globale e smettere di minacciare la vita sul Pianeta e la salute delle nostre comunità.

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La Comunità Europea sembrava sostenere questa linea, dal momento che ad inizio mese aveva proposto la “European Climate Law” ad integrazione della legislazione esistente. Essa promuove, sulla carta, la climate neutrality e ne impone la realizzazione entro il 2050 (data che noi attivisti, con il sostegno di solidi dati scientifici, riteniamo comunque estremamente tardiva).

La BEI, la Banca di Investimento Europea. ha varato nel 2019 nuove policies per fermare gli investimenti nei combustibili fossili ed armonizzare le sue linee di investimento con gli accordi di Parigi. Questo accordo però permetterà ancora per 2 anni nuovi progetti per il gas fossile, su cui punta anche l’Italia.

Ricordiamo che, anche se la crisi economica innescata dalla pandemia avrà come effetto una temporanea riduzione delle emissioni, ciò non è da considerare un vantaggio in termini assoluti. Piuttosto, ci ha mostrato con quanta rapidità sia possibile agire e imporre cambiamenti prima impensabili.

Appare evidente come l’arresto massiccio delle attività umane e della socialità, dove sopravvive solo chi ha una “rete di salvataggio”, e vengono lasciati indietro i più deboli e meno attrezzati dal punto di vista socioeconomico, portando all’estremo le ineguaglianze preesistenti, non è una via percorribile.

Secondo Hans Bruyninckx della European Environment Agency (EEA Europe) è possibile raggiungere target ambiziosi negli anni a venire soltanto se piani i piani di transizione economica ed energetica saranno improntati all’inclusività e alla giustizia sociale.

Ma cosa possiamo fare noi, dalle nostre case in “quarantena”?

Sebbene come Extinction Rebellion siamo consapevoli dell’insufficienza delle azioni individuali, promuovendo un cambiamento di sistema, riteniamo giusto segnalare come durante la “quarantena” si possano fare gesti importanti anche rimanendo a casa. Infatti anche i nostri soldi, nel conto in banca o nel fondo pensione, non sono “neutri”. Una volta depositati in banca o affidati a un gestore finanziario possono alimentare pratiche con impatti positivi o al contrario estremamente negativi. Da casa è possibile inviare un segnale a chi gestisce i nostri soldi, cambiando, ad esempio, il nostro conto in banca o il nostro fondo Pensione, sottraendo i nostri risparmi dagli istituti che finanziano la ricerca e l’estrazione di combustibili fossili gli investimenti speculativi che aumentano la deforestazione e la distruzione delle comunità indigene, e la produzione di armi, incluse quelle nucleari.

Infatti la maggior parte delle banche investe i nostri soldi in combustibili fossili e nel commercio di armi, anche nucleari. Ciò significa che hanno un interesse acquisito nel nostro fallimento nella lotta contro la crisi climatica e per la pace. Se il mondo smette di bruciare combustibili fossili e di armarsi, le banche perdono denaro.

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Il rapporto Banking on Climate Change 2019 pubblicato da un gruppo di organizzazioni (BankTrack, Oil Change International, Rainforest Action Network, Sierra Club, Honor the Earth e Indigenous Environmental Network) e approvato da oltre 160 organizzazioni di tutto il mondo, rivela che dopo l’adozione dell’Accordo di Parigi 33 grandi banche mondiali hanno finanziato con 1.900 miliardi di dollari società produttrici di combustibili fossili e che l’entità dei finanziamenti è aumentata in ciascuno degli ultimi due anni. 1

Secondo l’ultimo rapporto Don’t bank on the bomb, pubblicato dalla Campagna Premio Nobel per la pace ICAN (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari) e la Ong olandese PAX, 329 banche, compagnie di assicurazione, fondi pensione e gestori patrimoniali di 24 paesi investono in modo significativo in armi nucleari. Nel Rapporto si riscontra un massiccio aumento degli investimenti nelle armi di distruzione di massa, ma vengono anche individuate 63 istituzioni finanziarie con politiche che limitano o proibiscono gli investimenti in qualsiasi tipo di produttore di armi nucleari. 2

Lasciare la propria banca è una scelta forte. Quindi, prendersi il tempo per farlo fornisce loro un incentivo finanziario a disinvestire dai combustibili fossili, dalle infrastrutture per estrarli e trasportarli e dalla produzione di armi. Insomma, anche muovere il nostro denaro nella direzione giusta è una azione per la giustizia climatica e sociale. Per quanto cinico e triste ciò possa sembrare, nella democrazia globale “every time you spend money, you’re casting a vote for the kind of world you want” (Anna Lappé), Ogni volta che spendi soldi, stai votando per il mondo che vorresti.

Cosa hai fatto una volta che hai saputo?

Sono le 3:23 del mattino

e sono sveglio … perché i miei pronipoti non mi lasciano dormire. I miei pronipoti mi chiedono nei sogni:

cosa hai fatto mentre il pianeta veniva saccheggiato?

Cosa hai fatto quando la terra si stava sgretolando?

Sicuramente hai fatto qualcosa,

quando le stagioni hanno iniziato a fallire?

Sicuramente hai fatto qualcosa,

mentre i mammiferi, i rettili e gli uccelli stavano morendo tutti?

Sicuramente hai fatto qualcosa?

Hai riempito le strade di protesta quando la democrazia è stata rubata?

Cosa hai fatto una volta che hai saputo?

(Estratto da ‘ Hieroglyphic Stairway’ , una poesia di Drew Dellinger)

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Letture aggiuntive:

https://www.regionieambiente.it/banche_investimenti_combustibili_fossili/

https://www.ran.org/wp-content/uploads/2019/03/Banking_on_Climate_Change_2019_vFINAL1.pdf

https://gofossilfree.org/divestment/register-commitments/

https://valori.it/wp-content/uploads/2019/02/2019-RAPPORTO-ITALIANO.pdf

http://www.assosef.org/it/67/finanza-sostenibile-su-economia-italiana-20192.-saggio-di-timpano-e-fedeli..html

https://valori.it/banche-e-greenwashing/?amp

Altri esempi di azioni che è possibile fare da casa:

  • Si può firmare, usando il proprio documento di identità, l’Iniziativa dei cittadini europei (ECI) promossa dai Fridays for Future in cui si chiede alla commissione europea di rafforzare l’azione dell’UE sull’emergenza climatica in linea con il limite di 1,5 °C di riscaldamento, con obiettivi climatici più ambiziosi e maggior sostegno finanziario alla tutela del clima. https://eci.fridaysforfuture.org/it/sign-the-european-citizens-initiative/
  • Si può aderire all’iniziativa “Giudizio Universale: facciamo causa allo stato!” a questo sito: https://giudiziouniversale.eu/unisciti-a-noi/. Ne abbiamo parlato approfonditamente qui.

  1. Secondo il rapporto Dont’ Bank on the Bomb per l’Italia fra le banche che proibiscono gli investimenti in armi nucleari figura solo Banca Etica (inserita nella “Hall of Fame”) mentre Intesa-Sanpaolo e Unicredit sono state inserite tra i “Runners-up” che stanno migliorando la loro esposizione, anche se solo con una “stella” sulle quattro possibili e rimangono comunque anche nella “Hall of shame” per investimenti nelle armi nucleari negli anni precedenti. 

  2. Secondo il rapporto Banking on Climate Change 2019, nella classifica degli investitori “sporchi” ci sono anche molti gruppi europei, come Barclays, Credit Suisse, Deutsche Bank, Bnp Paribas, ING e l’italiana Unicredit, che ha fornito al comparto delle fossili 17 miliardi in tre anni ed in particolare investe oltre un miliardo di dollari in carbone ed esplorazioni estrattive a profondità estreme.