L’UE sta imbrogliando con i numeri, e rubando il nostro futuro

07 Dec 2020 - Tradotto dal Team XR Magazine
XR Magazine Società



Photo credits by Markus Spiske on Unsplash

Data la forte influenza e la grande importanza che ha l’Unione Europea nel dirigere il mercato e le trattative internazionali sul clima e l’ecologia, oggi Extinction Rebellion Italia propone un articolo tradotto da Medium (link in fondo) che evidenzia le promesse e i ripetuti fallimenti di coloro che dovrebbero proteggerci dalle due crisi più importanti e devastanti che il genere umano abbia mai attraversato. Nonostante tutto, ciò che è stato promesso fino ad ora, tra obiettivi al 2050 e ovvi greenwash, l’importanza di ribellarsi contro l’inazione si fa sempre più impellente e fondamentale… “Sappiamo di non essere in linea con gli accordi di Parigi, non abbiamo mai detto di esserlo. Ma dobbiamo coinvolgere le persone poco alla volta.”.

Negli ultimi due anni abbiamo incontrato molti tra i leader mondiali e sareste probabilmente sorpresi nel sentire alcune delle cose che dicono quando le telecamere e i microfoni sono spenti. Potremmo scrivere un sacco di articoli su questo.

E fidatevi, lo faremo.

Una delle minacce attualmente più grandi nei confronti dell’umanità risiede nella convinzione di star portando avanti un numero sufficiente di azioni per riuscire a contrastare il cambiamento climatico, convinti che effettivamente ci si stia occupando del problema, quando in realtà così non è. Non è per niente così.. Il tempo per compiere dei “piccoli passi nella giusta direzione” è ormai passato, tuttavia questo sembra essere il massimo a cui i nostri leader sembrano voler aspirare/raggiungere. tuttavia questo sembra essere il massimo a cui i nostri leader sembrano voler aspirare/raggiungere.

Gli obiettivi proposti di riduzione delle emissioni di CO2 del 55%, 60% o addirittura 65% previsti per l’UE entro il 2030 non sono neanche lontanamente sufficienti per essere in linea con l’obiettivo di rimanere sotto gli 1,5°C o addirittura con il “ben al di sotto del 2°C” previsti dagli Accordi di Parigi.

La nostra democrazia si basa sull’informazione che viene fornita ai cittadini in merito alle questioni che li riguardano in prima persona perciò è piuttosto allarmante, per non dire altro, che queste non siano riportate con precisione. Soprattutto perché sarà proprio questa condizione di emergenza climatica e ecologica a determinare il futuro dell’umanità. Abbiamo quindi raccolto alcuni punti chiave che spiegano alcune delle ragioni per cui gli obiettivi proposti sono ben lungi dall’essere sufficienti. Per questo, vi chiediamo di condividerli in lungo e in largo.

  • Le riduzioni proposte all’interno dell’UE devono essere effettuate partendo da una base di riferimento dal 1990. Poiché l’UE, dopo aver stabilito un ritmo di riduzione delle emissioni molto lento negli ultimi 30 anni, ha ha ulteriormente ridotto quest’ultime di circa il 23%. Ciò significa che l’obiettivo di riduzione del 55% annunciato dalla Commissione Europea, in realtà corrisponderebbe a una sottrazione dal 55% di un 23% rispetto ai livelli degli anni ‘90 fino al 2030. Sulla base dei livelli attuali, tutto questo corrisponderebbe a una riduzione approssimativa delle nostre emissioni del 42%. E questo ovviamente si traduce in una drastica limitazione/riduzione dell’ambizione. Inoltre, le riduzioni dell’UE dal 1990 sono avvenute, in larga misura, a causa dell’esportazione delle nostre fabbriche in altre parti del mondo. Guardiamo come esempio alla Svezia, dove i numeri degli indici di consumo sono stati resi pubblici dalle autorità. Dal 1990 le emissioni di CO2 sono diminuite di circa il 27%. Ma, se includiamo nella valutazione anche l’indice di consumo totale (beni importati dunque fabbricati al di fuori del Paese), l’aviazione internazionale e la spedizione (parametri solitamente esclusi dai numeri numeri ufficiali internazionali segnalati), l’aumento del valore di questi tre parametri non fa altro che compensare quello di TUTTE  le emissioni che sono state contenute entro i limiti e prodotte entro i confini svedesi. Di fatto, quindi, le emissioni della Svezia non sono affatto diminuite. Ciò che si è verificato, non è stato altro che uno spostamento da una parte a un’altra barando sul computo di Co2 emessa. La cosa fondamentale è che quando i leader europei promettono riduzioni delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, devono essere onesti fin dall’inizio e comunicare a tutti i cittadini che questa affermazione non può che tradursi in una riduzione di solo il 42% circa rispetto ai livelli del 2018. E, ovviamente, ancor meno rispetto ai livelli attuali, una volta prese in considerazione le riduzioni che hanno avuto luogo a causa dell’attuale pandemia mondiale. I leader devono anche essere trasparenti in merito al fatto che questo tipo di intervento non può che essere efficace solo su una parte delle emissioni totali prodotte da tutte l’UE poiché, parte della produzione viene dislocata altrove e dunque non contabilizzata così come viene spiegato nel punto successivo.

  • Le riduzioni proposte non comprendono l’aviazione internazionale, il trasporto marittimo né, ancora una volta, il consumo di beni fabbricati al di fuori dell’UE. Per esempio, se il vostro portatile è fabbricato/prodotto in Cina, le vostre scarpe in Indonesia, i vostri jeans in Bangladesh, la vostra giacca in India, il caffè che consumate abitualmente in Kenya, il vostro smartphone in Corea del Sud e la carne che mangiate viene allevata in Brasile, nulla di tutto ciò apparirà all’interno del computo relativo alle emissioni di gas serra prodotte in UE/all’interno dell’UE. Dunque  un breve viaggio in treno da Colonia ad Aquisgrana comporterà un aumento delle emissioni che saranno considerate di competenza dell’UE rispetto a un volo andata e ritorno per Buenos Aires o Bangkok. Questo problema non può essere “risolto” con la promessa di un trattato di Regolamentazione dei limiti di produzione del carbonio (Border Carbon Adjustments – BCA). Gli obiettivi di riduzione e le statistiche dell’UE devono comprendere tutte le emissioni prodotte dall’UE.

  • Le riduzioni proposte non prendono in considerazione l’aspetto dell’equità, che è assolutamente essenziale per il corretto funzionamento, a livello globale, degli Accordi di Parigi. Le nazioni dell’UE hanno firmato per aprire la strada e consentire ai paesi a basso e medio reddito di ottenere la possibilità di costruire le stesse infrastrutture (come strade, ospedali, acquedotti, scuole, impianti elettrici e così via) che noi abbiamo eretto nel corso degli ultimi due secoli grazie alla presenza/allo sfruttamento del carbon fossile. Se non siamo in grado di metterci alla testa di questo cambiamento per guidarlo nei suoi primi passi,, allora come possiamo aspettarci che paesi come la Cina e l’India facciano la loro parte?

  • L’idea più diffusa di dimezzare le nostre emissioni entro il 2030 (partendo dai dati relativi all’anno 2010, senza prendere in considerazione la base di partenza più favorevole all’UE risalente al 1990) si basa su un bilancio relativo al consumo di carbonio che ci garantisce solo il 50% di possibilità di rimanere al di sotto dell’1,5 C. Ma queste probabilità presuppongono che gli ecosistemi naturali,come gli oceani e le calotte polari rimangano stabili,questo significa non innescare alcun ciclo di feedback che provochi un’accelerazione del processo di riscaldamento globale: aumento di incendi boschivi, il drastico calo delle aree forestali a causa di malattie che colpiscono gli alberi, una maggiore siccità, un incremento dell’effetto albedo che provoca lo scioglimento dei ghiacci marini e il disgelo del permafrost artico con il rilascio di metano. Queste probabilità non vengono nemmeno prese in considerazione nel computo delle conseguenze del riscaldamento globale poiché nascosti sotto l’insegna del più accettato inquinamento atmosferico che potrebbe tranquillamente arrivare a raggiungere tassi del 0,5-1,1°C. Si basa tuttavia sulla futura rimozione di enormi quantità di CO2 presenti in atmosfera attraverso l’utilizzo di tecnologie la cui realizzazione non sembra essere possibile entro i limiti di tempo previsti per riuscire a raggiungere gli obiettivi. Di conseguenza, quel famoso 50% di possibilità che l’umanità possiede per riuscire a far fronte all’attuale emergenza climatica si tradurrebbe, in realtà, in un valore ben al di sotto. Quindi il 50% di probabilità è in realtà molto meno del 50%.

Nella proposta di riduzione delle emissioni per l’UE sono naturalmente state inserite alcune scappatoie, come l’inclusione della proposta di includere la creazione di compensazioni di carbonio all’interno di un percorso volto a raggiungere lo “zero netto” di emissioni. . In altre parole: si tratterebbe di utilizzare le foreste come copertura ed evitare, così, la riduzione delle emissioni.

“L’inclusione delle compensazioni significa che il nuovo obiettivo del 55% potrebbe effettivamente risultare inferiore al 50% “, ha dichiarato il climatologo Bert Metz, che ha co-presieduto il gruppo di lavoro dedito alla ricerca delle tecniche di riduzione dei danni appartenente al Comitato Intergovernativo delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico dal 1997 al 2008. Altri suggeriscono che la differenza sia più simile al 2%.

Quindi: il 55% meno il 23% rispetto ai livelli degli anni ‘90, meno il consumo di merci importate, l’aviazione internazionale e il trasporto marittimo, meno un altro 2-5% è… Beh, sottrarre percentuali può rappresentare una bella sfida dal punto di vista matematico, eppure solo agendo in questo modo è possibile farsi un’idea generale. Il punto è che ci sono tante le sottrazioni che devono essere fatte partendo dalle percentuali originarie del 55%, 60% e 65% per arrivare a raggiungere gli obiettivi previsti entro il 2030.

Senza dubbio la commissione dell’UE riconoscerà come sufficiente e giusta la base di partenza adottata nel 1990 poiché è sempre stato considerato “l’anno di riferimento per gli obiettivi climatici principali dell’UE” e “per quale motivo l’UE dovrebbe essere punita per aver iniziato a ridurre le nostre emissioni 30 anni fa?” Beh, la risposta è che in realtà non si è iniziato a ridurre proprio nulla all’ora. Ciò che abbiamo fatto, è stato trasferire all’estero ciò che produceva queste emissioni escludendone la gran parte dai numeri ufficiali.

E l’idea che ad alcune nazioni e aree del pianeta particolari debba essere concesso un trattamento speciale metterà senza dubbio in serio pericolo gli Accordi di Parigi.

Non ci può essere giustizia sociale senza giustizia climatica. E non ci può essere giustizia climatica se non riconosciamo di aver semplicemente dislocato gran parte delle nostre produzioni all’estero sfruttando la manodopera a basso costo, precarie condizioni di lavoro e normative ambientali meno rigide.

Perché non solo sono i meno responsabili della crisi climatica a subirne maggiormente le conseguenze - ora li stiamo anche incolpando per le nostre emissioni perché sono loro a produrre ciò che compriamo.

Anche se ogni riduzione delle emissioni di CO2 è accolta con estremo favore, le proposte della Commissione Europea e del Parlamento sono ben lungi dall’essere sufficienti. Eppure il dibattito non si è ancora concluso. Questo deve cambiare se vogliamo avere almeno una piccola possibilità di evitare una catastrofe climatica che presto non potrà essere annullata.

I nostri leader devono affrontare l’emergenza climatica invece d’inventarsi nuove scappatoie nel momento in cui fanno le cosidette promesse che ci hanno imbrogliato e condotto in questa confusione.

Cerchiamo di essere chiari. Tutti gli obiettivi e gli impegni proposti si riducono al fatto che che, molto probabilmente, potremmo perdere l’opportunità di rimanere in linea con l’accordo di Parigi. Ciò di cui abbiamo bisogno, tanto per cominciare, è di attuare i bilanci annuali vincolanti per il carbonio basati sulla migliore scienza attualmente disponibile e smettere di fingere di poter risolvere la crisi climatica e ambientale senza considerarla come tale. 

Circa un terzo delle nostre emissioni globali di CO2 da combustibili fossili sono state emesse dal 2005. Oltre il 50% si è verificato dal 1990. Le nostre emissioni annuali sono ora così elevate che ogni singolo anno di attività , senza che nulla cambi, avrà un notevole impatto sia sulle condizioni di vita delle generazioni future sia sulla condizione delle popolazioni che oggi vivono nelle aree più colpite da questo fenomeno. Sono i nostri leader a esserne i responsabili. E, se dovessero continuare a lasciare nelle mani degli scienziati, delle ONG e degli attivisti il difficile compito di divulgazione delle informazioni, allora falliremo. 

Da più di due anni ripetiamo il nostro messaggio: ascoltate la scienza, agite in base ai dati scientifici. Ma il messaggio chiaramente non arriva. La scienza viene ancora ignorata.

La giustizia viene sistematicamente negata a coloro che vivono nelle zone più colpite.

L’emergenza climatica sta rapidamente sfuggendo al nostro controllo. Se vogliamo avere una possibilità, allora questa lotta deve diventare il nostro obiettivo principale. essere al centro della comunicazione, della politica e di tutta la nostra società. A partire da oggi.

Di: Luisa Neubauer, Greta Thunberg, Adélaïde Charlier, Anuna de Wever van der Heyden

Articolo tradotto da: https://gretathunberg.medium.com/the-eu-is-cheating-with-numbers-and-stealing-our-future-1aca3e9a295f