20 Mar 2020 - Jacopo Simonetta
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In questi giorni di sovrabbondanza di informazioni sulla pandemia di coronavirus, riesce difficile farsi un quadro chiaro della più ampia crisi nella quale siamo immersi, e di come essa sia collegata alla pandemia. Abbiamo chiesto al nostro redattore ecologo di darci la sua opinione, ed è stato prodotto questo articolo sotto forma di domande e risposte, ricco di rimandi a studi scientifici e di spunti di riflessione. Speriamo che possa essere una lettura illuminante.
Image credits: la grafica in apertura del post è stata creata da Stefania Taverna
Nessuna delle numerose calamità che stanno sconquassando il mondo è inaspettata, se ci colgono impreparati è solo perché, ormai da decenni, abbiamo preferito ignorare coloro che vengono definiti “profeti di sventura”, anche quando vestono un camice bianco e lavorano nelle più prestigiose istituzioni scientifiche; è il caso, per esempio, del gruppo di scienziati che già cinquant’anni or sono produsse il celebre rapporto “I Limiti della Crescita”. Fra gli altri, questo è il caso anche della pandemia in corso, delle sue origini e delle sue conseguenze. Infatti, sono oramai decenni che l’OMS ci mette periodicamente in guardia sul fatto che la Cina è una fucina di nuovi virus e che, prima o poi, uno di questi sarebbe stato particolarmente virulento. Non è una novità: molti ceppi di influenza aviaria e suina che dal 1997 in poi hanno provocato diversi allarmi per possibile pandemia, per fortuna tutti rientrati, hanno avuto origine in Cina. La SARS (altro coronavirus) ebbe anche lei origine in Cina, così come moltissimi dei ceppi influenzali che periodicamente spazzano il mondo, comprese le due ultime grandi pandemie del XX secolo. Certo non tutte le nuove infezioni partono dalla Cina, ma è un fatto che in alcune regioni di questo paese vi sono condizioni che facilitano molto la zoonosi, cioè il passaggio di agenti patogeni da animali vari all’uomo. In particolare, la zoonosi è facilitata da alte concentrazioni di persone in stretto contatto con animali domestici e selvatici di ogni genere che vengono utilizzati sia per cucina che per altri scopi. Una situazione tradizionale che si è aggravata dagli anni ’90 in poi, quando la Cina è diventata il principale importatore e consumatore di animali esotici di tutti i tipi, comprese le specie protette. Questo aumenta infatti di molto la probabilità che un virus endemico di una specie che vive in regioni remote (per esempio il pangolino) possa infettare animali domestici o commensali dell’uomo, per poi passare a noi, mutando ad ogni salto di specie ospite fino a diventare, in qualche caso, un nuovo patogeno contro cui il nostro sistema immunitario risulta più o meno sguarnito.
Il concetto di zoonosi sta uscendo dal circolo degli specialisti per guadagnare i grande pubblico. Per esempio, David Quammen, autore di “Spillover: Animal infections and the next Pandemic”, ha recentemente scritto sul New York Times: “Invadiamo foreste tropicali e altri ambienti naturali selvaggi, che sono l’habitat di una moltitudine di specie animali e di piante e, fra queste creature, di numerosi virus sconosciuti. Tagliamo gli alberi, uccidiamo gli animali o li mettiamo vivi in delle gabbie e li mandiamo ai mercati. Distruggiamo gli ecosistemi, liberiamo i virus dai loro ospiti naturali. Quando ciò accade, i virus hanno bisogno di un nuovo ospite. Spesso, quell’ospite siamo noi.”
In sintesi, la pandemia di Covid-19, come molte epidemie virali precedenti, è il frutto di una combinazione di sovrappopolazione e saccheggio degli ecosistemi naturali; con particolare riguardo per la predazione di specie animali che, proprio perché rare e strane, sono particolarmente ricercate e costose su certi mercati. In effetti, il controllo dei patogeni è uno dei famigerati “servizi ecosistemici” che stiamo smantellando pezzo per pezzo. In un ecosistema naturale sano, è infatti molto raro che un virus od un batterio passi da una specie all’altra perché tutti gli elementi del sistema si sono coevoluti per decine o centinaia di migliaia di anni. Viceversa, quando gli umani entrano con il loro bestiame ed i loro commensali in un ecosistema dove erano prima assenti (ad esempio con la colonizzazione agricola e l’allevamento intensivo in luoghi che ospitavano foreste, il turismo, la caccia, il disboscamento, ecc.), oppure quando si prelevano elementi da ambienti remoti per portarli in città, necessariamente si mettono in contatto entità che possono risultare indifese rispetto a reciproci parassiti. Casi di questo genere nella storia umana sono numerosi e stanno diventando una delle principali cause dell’estinzione massiva di piante ed animali selvatici. Per citare un solo esempio, Geomyces destructans è un fungo parassita presente nei pipistrelli europei, cui non sembra fare danni di rilievo, ma che trasportato in Nord-America dai turisti che visitano le grotte sta annientando l’intero popolamento di chirotteri del continente americano.
Rispetto alla reale letalità della malattia Covid-19 non abbiamo elementi di certezza: sia perché è ancora presto per tirare le somme, sia perché ogni stato usa metodi diversi per rilevare i dati che, così, non sono confrontabili; in alcuni casi c’è anche il sospetto che vengano manipolati intenzionalmente. Comunque, secondo Lancet, la letalità della malattia Covid19 sembra compresa fra 3,6 e 5,7%, dei contagiati (NB: dei contagiati, non della popolazione) con grandissime fluttuazioni ancora non chiare, a fronte di uno 0,1% circa dell’influenza normale. Ma il problema principale è che si diffonde molto facilmente perché i malati sono contagiosi un paio di giorni prima di manifestare i primi sintomi e, probabilmente, anche per qualche tempo dopo la guarigione. Inoltre, moltissime persone ne risentono poco o nulla, cosicché (senza provvedimenti esterni) continuano a vivere normalmente contagiando altri, magari più sensibili. Come con tutte le epidemie, la sensibilità individuale è infatti il principale fattore di vulnerabilità, mentre la prontezza e l’efficienza del sistema sanitario è vitale nel ridurre la mortalità. Tuttavia sono stati chiamati in causa anche altri fattori importanti come l’età, l’eventuale presenza di altre patologie, il fumare ed il tasso di inquinamento atmosferico. Non è una sorpresa che una polmonite colpisca molto più duramente in zone notoriamente soggette a tassi di inquinamento particolarmente elevati come lo Hubei e la Pianura Padana. Non per caso, si stima che, già prima del Covid-19, solo in Italia muoiano annualmente fra le 40.000 e le 50.000 persone l’anno per complicazioni legate all’inquinamento atmosferico, in particolare quello da micro- e nano-polveri (l’Italia ha il triste primato europeo per morti premature da inquinamento atmosferico). In questo caso specifico, c’è poi anche il grave sospetto che le polveri sottili possano veicolare direttamente il virus, facilitandone la diffusione, ma è ancora una teoria, è presto per avere delle prove definitive in merito.
Un altro fattore che lega a doppio filo questa epidemia alla struttura economica attuale sono i trasporti ed in particolare il turismo di massa, responsabile, fra l’altro, di una quota consistente di emissioni climalteranti e di inquinamento, oltre che del degrado irreversibile delle località “alla moda”. Nella fattispecie, la massa di persone in continuo movimento da un continente all’altro nel giro di poche ore ha reso ogni tentativo di controllo e di contenimento inutile. Ma anche il trasporto di merci ha un ruolo importante in questa storia, non perché diffonda il virus, ma perché da esso dipende l’economia globale in cui oramai anche i più remoti villaggi sono completamente integrati. La globalizzazione dell’economia ha infatti legato tutti i paesi e le aziende in un’unica rete mondiale, completamente interdipendente. Una rete estremamente efficiente nell’estrarre risorse ed aumentare la produzione di beni e sevizi di tutti i generi, ma che funziona a condizione che i flussi di merci fra i nodi principali della rete funzionino puntualmente. Un rallentamento importante e prolungato in questi flussi lede le fondamenta stesse del sistema, con conseguenze assolutamente imprevedibili, ma presumibilmente molto gravi per la popolazione. Questo ha implicazioni importanti perché, finora, tutti i più avanzati ritrovati della medicina hanno fallito contro il nuovo coronavirus e l’unico modo con cui si riescono a limitare i danni è il blocco pressoché totale delle attività umane per decine di milioni di persone, guarda caso concentrate nei principali nodi della rete economica globale. Oramai quasi l’intera Eurasia è in parziale quarantena e ben presto le Americhe ci seguiranno. Di fatto, il virus sta colpendo in successione tutte le principali economie del mondo, col risultato di ridurre i traffici in maniera molto sensibile per parecchi mesi, forse per un anno o più, non si può sapere. Parecchi settori economici sono già in crisi e le borse hanno avuto perdite analoghe o superiori a quelle riportate nel 2008, con la differenza che con il Covid-19 siamo ancora agli inizi. Per ora i governi stanno pompando liquidità a pioggia nei mercati finanziari per evitare la bancarotta dei principali istituti di credito (cosa che determinerebbe la scomparsa di buona parte del denaro circolante e quindi anche di pensioni, stipendi e risparmi). Ma questo comporta un’ulteriore boom del debito pubblico anche in paesi come la Cina che, finora, avevano problemi solo di eccessivo debito privato. Insomma, inflazionare la moneta sposta il problema senza risolverlo. Come se non bastasse, tutto ciò ha portato il prezzo del petrolio e degli altri combustibili fossili vicino ai minimi storici e non è una buona notizia da diversi punti di vista. Intanto perché la crisi economica e il prezzo basso dei fossili geleranno i già timidi piani di sviluppo delle energie rinnovabili. Poi perché se entrano in bancarotta uno o più dei protagonisti principali sulla scena petrolifera le conseguenze economiche, politiche e anche militari non sono prevedibili.
Solo fra molti mesi ci potremo fare un’idea delle reali conseguenze di questa pandemia sui vari stati e sulle nostre personali vite, anche perché .la pandemia di Covid-19 è solo uno degli elementi in gioco in questo inizio di 2020. Mentre le città si bloccano, la campagne stanno infatti morendo di sete. A causa del Global Warming abbiamo avuto l’inverno più caldo e secco della storia in praticamente tutti i paesi esportatori di cereali che quindi avranno raccolti più o meno scadenti. In Vietnam (uno dei tre principali esportatori mondiali di riso) hanno addirittura dichiarato lo stato di emergenza, e rinunciato a seminare il riso perché non c’è acqua per farlo. È vero che esistono delle scorte strategiche di cereali per casi come questi, ma sono molti anni che le riserve languono, mentre le bocche aumentano. Per non parlare degli sciami di locuste che stanno devastando parte dell’Africa e dell’Asia meridionale (per inciso, anche questo proliferare di sciami è legato alle anomalie di origine antropica del clima ed alla devastazione degli ecosistemi naturali).
È quindi molto probabile che in un qualche momento del prossimo futuro si verificheranno carenze alimentari anche forti nei paesi importatori, mentre i paesi “ricchi”, alle prese con la recessione, certamente non avranno molta voglia di allargare i cordoni della borsa. È quindi probabile che si verifichi una nuova ondata di sommosse e rivolte che, come la storia ci insegna, di solito finiscono anche peggio di come erano cominciate. In definitiva, è verosimile che, alla fine, il nuovo coronavirus provochi la morte di molta più gente per fame, miseria e violenza, piuttosto che per polmonite. È probabile anche che l’elenco dei “failed states” si allungherà, magari con qualche sorpresa fra le “new entry”.
Nel frattempo, i tassi di inquinamento e di emissioni climalteranti stanno scendendo precipitosamente. La Cina, nel mese di febbraio, ha ridotto di almeno il 25% le sue emissioni e lo stesso sta succedendo negli altri paesi, via via che le quarantene obbligatorie bloccano le attività economiche. Questa è la seconda vera flessione nelle emissioni globali dal 1997 (data del Protocollo di Kyoto). La prima, nel 2008, su causata dalla crisi finanziaria e fu temporanea. Cosa ne sarà della flessione attualmente in corso non possiamo prevederlo, ma sappiamo per certo che, non appena superata la fase acuta, tutti i paesi si precipiteranno a fare ogni sforzo possibile per riportare le attività, e i tassi di emissione, ai livelli precedenti la crisi. In Cina è già stato ufficializzato un consistente allentamento dei già laschi controlli ambientali, mentre è stato stanziato un profluvio di fondi pubblici (alias di debito pubblico) per nuove infrastrutture e “progetti di sviluppo” di qualunque genere. Il governo cinese è stato chiaro: faremo di tutto affinché i consumi tornino ad aumentare il più rapidamente possibile. Sicuramente lo stesso accadrà in tutti i paesi che appena appena se lo potranno permettere (già ora cominciano a girare anticipazioni in questo senso). Insomma, per l’estate-autunno anche in Italia ed in Europa dobbiamo aspettarci una pioggia di fondi per strade, palazzi e ogni genere di vecchio progetto speculativo che sarà ripescato dai cassetti. Intanto, il già modesto progetto “Green New Deal” europeo è stato bollato da alcuni come “ideologia” e iniziano ad arrivare diversi inviti a metterlo da parte, nonostante il segretario ONU, Guterres, abbia dichiarato: “sia il coronavirus che i cambiamenti climatici sono problemi molto seri, entrambi richiedono una risposta determinata e devono essere sconfitti. Ma il cambiamento climatico […] c’è da molti anni, rimarrà con noi per decenni”.
Aspettiamoci anche un’ulteriore colpo di spugna su ciò che resta delle norme di tutela ambientale e sociale, oltre che alla scomparsa dei pochi fondi ancora disponibili per quella che viene chiamata genericamente “protezione della natura” perché temo che “tutto e tutti dovranno imperativamente essere sacrificati in nome e per conto di rilanciare la crescita, costi quel che costi”. Tutto questo, lo abbiamo già più volte sperimentato, non farà che predisporre una ancor più dura crisi da qui a qualche anno (o qualche mese), ma così finora è andato il mondo.
Secondo me, il covid-19 ci impartisce diverse lezioni importanti che nessuno di importante sarà disposto ad imparare. Fra queste, quelle che voglio qui ricordare sono quattro:
1 - La prima è che il sistema economico con cui abbiamo organizzato il mondo non è sostenibile, è fragile e pieno di difetti, eppure non può essere modificato o corretto, quali che siano le forme politiche che lo gestiscono. In Cina come in USA, Europa, Africa ed ovunque nel mondo, l’economia si basa sulla crescita dei consumi, mentre solo una drastica riduzione dei medesimi potrebbe ridurre gli impatti umani sul pianeta. Se davvero vogliamo cambiare strada, dobbiamo cambiare la struttura economica della nostra società, una cosa che però è talmente difficile che, finora, ben pochi tentano anche solo di immaginare. Da un lato, infatti, la crescita sta scatenando una serie di calamità sempre più incalzanti che, con ogni probabilità, condurranno il sistema ad autodistruggersi. Dall’altro una contrazione dei consumi abbastanza consistente e rapida da fermare il GW e l’estinzione di massa avrebbe buone probabilità di far collassare l’intero sistema. Non è una scelta facile, ma mentre la seconda offre almeno la speranza di lasciare un pianeta abitabile ai nostri discendenti, la prima neanche quello.
2 - La seconda lezione è che la realtà esiste e che noi siamo vulnerabili, malgrado tutta la nostra tecnologia. Per 70 anni noi occidentali abbiamo vissuto senza mai affrontare delle difficoltà minimamente serie, mentre gli altri popoli della Terra ci imitavano con la speranza di poter un giorno anche loro godere della medesima bolla di benessere e sicurezza. Il Covid-19 ci ricorda che quei tempi sono finiti per sempre e per tutti: stanno tornando tempi in cui si sa che periodicamente bisogna fare i conti con epidemie, carestie e guerre. In futuro, anzi, ben più che in passato perché c’è molta più gente, molte meno risorse, un clima assai più ostile e nessun luogo selvaggio dove cercare rifugio. Anche i luoghi selvaggi in cui rifugiarsi erano infatti un servizio ecosistemico che ci siamo giocati.
3 – La terza lezione è che tutto ciò che cresce in modo esponenziale è sempre molto pericoloso e controllabile solo a condizione di intervenire molto presto in maniera drastica per fermarlo. Per restare in tema, si confronti il diverso andamento dell’epidemia a Taiwan ed in Italia.
È importante capirlo perché tutte le principali variabili ambientali del Pianeta stanno cambiando secondo curve esponenziali. Si chiama “grande accelerazione” e parlarne ci porterebbe troppo lontano, ma potrebbe essere il tema di un prossimo articolo.
4 – La quarta è forse la più importante: non tutto è perduto! La nostra esistenza dipende totalmente dal funzionamento della Biosfera che stiamo distruggendo, ma anche in Italia una sola settimana di relativa quiete è stata sufficiente per rendere l’aria di Milano nuovamente respirabile, l’acqua di Venezia limpida, il cielo stellato visibile e persino un delfino ha fatto un giro nel porto di Taranto. Sono segnali minimi e temporanei, ma di qualcosa che abbiamo già visto succedere massicciamente in luoghi traumatizzati dall’uomo come Chernobyl: quando gli umani si fermano, il resto della Biosfera recupera, talvolta in maniera spettacolare , anche in zone devastate. Questo significa che la resilienza della Biosfera non è esaurita e che il collasso può quindi essere fermato. Questo vuol dire che ridurre i consumi di tutto, proteggere ed espandere parchi e riserve, fare pressione sulle autorità perché si adoperino per governare il ridimensionamento dell’antroposfera anziché attendere che lo facciano delle catastrofi, sono tutte cose che ha molto senso fare.
Ciò che ci resta quindi da fare, con tutte le nostre forze, è di opporci alla distruzione di quel che resta della Biosfera, anche se ciò vorrà dire essere insultati e maltrattati, anche se ci sembrerà di non ottenere niente, perché è l’unico modo che abbiamo per cercare di salvare il salvabile.
Certo, oramai il livello di sacrifici necessari per riportare il sistema Terra in equilibrio supera di molto la semplice rinuncia al superfluo e non possiamo avere la certezza del successo, ma sappiamo che è possibile tentare. E quand’anche fallissimo, perlomeno avremo fatto la cosa giusta.
J.S.
Davide Piacenza intervista David Quammen, Il virus siamo noi, nessuno si senta offeso
Simona Re, La lezione di Covid-19 sul clima
Simona Re, Lancet Countdown: prognosi riservata per clima e salute globale(articolo di novembre 2019)
Gianluca Schinaia, Con questo clima nel mondo i virus non ci daranno tregua
Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi (Rapporto del WWF)
https://www.degrowth.info/en/2020/03/a-degrowth-perspective-on-the-coronavirus-crisis/